Sul tempo e la devozione al processo

Sul tempo e la devozione al processo

Tempo di lettura: 4-6 minuti

Qualche giorno fa mi è venuto in mente, andando a mettere l’acqua per il caffè per la seconda volta durante la giornata, della differenza nella nostra percezione del tempo quando le attività vengono pianificate o si fanno senza pianificazione.

Quando si pianifica un’attività, si cerca di includere tutte le variabili che occupano il tempo di quell’attività. Quando questa durata è calcolata correttamente, la nostra percezione dei minuti che scorrono è più rilassata, perché sappiamo che abbiamo il tempo per fare tutto quello che abbiamo bisogno di fare.

È come se i minuti scorressero più lentamente e noi avessimo la possibilità di manipolare il tempo. Quando invece passiamo la giornata a ‘fare quello che c’è da fare’, se abbiamo tante cose da fare la percezione dei minuti che scorrono cambia: è una lotta contro il tempo, e perdiamo sempre.

Perdiamo perché magari ci rendiamo conto che tra 1 minuto abbiamo una consegna e siamo ancora in alto mare, o che c’è un appuntamento dall’altra parte della città e siamo ancora in riunione, una riunione che avevamo dimenticato che ci fosse. Cerchiamo di compattare il tempo, ma non si può fare.

Se invece pianifichiamo bene, possiamo ‘allungare’ il tempo. Renderlo compagno della nostra avventura, senza stressarci pensando a quante cose potremmo fare e quante vorremmo fare ma non possiamo.

A livello pratico, io domenica sera pianifico tutte le attività personali nel mio calendario a blocchi di un’ora (o anche 15, 30 o 45 minuti) partendo dalla to-do list che ho sull’app Things (su macOS, iOS e iPadOS), aggiungendo, quando possibile, tempi di percorrenza da un posto all’altro (se devo spostarmi) e anche il tempo del pranzo, che solitamente blocco per un’ora.

È ovvio: la pianificazione cambia continuamente, perché capita sempre che ci sia qualche urgenza o qualche opportunità a scadenza, ma è un processo iterativo: se la prima volta fisso uno slot di 1 ora per lavorare ad un articolo o ad un progetto, e poi mi accorgo che invece ci metto 2 ore, modifico sul mio calendario la durata dell’evento, in modo da avere uno storico di quanto effettivamente sia durata quell’attività. La volta successiva copierò direttamente quell’attività, invece di crearne una nuova.

Questo mi aiuta ad essere coerente con l’esperienza che ho nel fare le cose.

Quando ho fatto il caffè dopo pranzo, oggi, ero nello slot del pranzo, che avevo fissato tra le 14:30 e le 15:30. Alle 15:15, dopo aver lavato i piatti, ho pensato di mettere su l’acqua per il caffè, e nel frattempo mettere un po’ a posto la camera. Qualche minuto dopo, mentre andavo a prendere l’acqua - che si era scaldata nel pentolino - in cucina, mi è venuta un po’ d’ansia perché pensavo di essere già in ritardo con l’attività successiva al pranzo. Ed invece erano ancora le 15:20, e avevo ancora tutto il tempo di tornare in camera, prepararmi il caffè e rilassarmi qualche altro minuto prima di iniziare.

Ero riuscito a controllare il tempo a mio favore, eppure non me n’ero ancora accorto.

Questo ragionamento l’ho fatto il giorno prima di essermi imbattuto in un video molto interessante, che linko nella descrizione di questa puntata. Ad un certo punto, un passaggio mi ha particolarmente colpito:

“Siamo assolutamente devoti al processo. È così che la mia società, che non paga niente a nessuno, funziona così bene. Non siamo devoti all’obiettivo."

E continuava così:

“[…] Qualunque sia la tendenza oggi, è il tuo obiettivo, no?”

E ancora:

“Senza obiettivi andremo il più lontano possibile. Con il processo forse si sbatte davanti all’obiettivo. Se raggiungi l’obiettivo sarai depresso, se non lo raggiungi sarai frustrato.---Devozione è il modo in cui si raggiungono obiettivi significativi. Come fa l’obiettivo ad essere allo stesso tempo il punto di partenza e il punto di arrivo?”

La frase più importante, quella che racchiude tutto, credo sia questa:

La questione è quanto è bella e significativa la vita che hai vissuto.

Quel giorno sono successe un po’ di cose. Ho aperto gli occhi alle 4:05, mi sono alzato alle 5:00 dopo aver fatto i miei consueti 3 minuti di meditazione di sveglia, e alle 5:50 ero pronto per andare via, salutando la mia compagna mentre ancora dormiva.

Non ho lavorato fino alle 14:00, quando sono arrivato in ufficio e dopo aver pranzato. In tutta la mattinata ho pensato a riposarmi, a fare meditazione in aereo, ad ascoltare podcast e a leggere articoli. Ho fatto tutto. Non ho più la FOMO, non so perché ma riesco ad essere in controllo del flusso che mi viene incontro ogni giorno. Forse perché faccio meno di quello che impiegava più del mio tempo. Tipo guardare serie TV. Non so. Però mi rendo conto che questo tenore di vita mi rende contento, felice.

Le frasi che ho letto all’inizio dell’articolo sono di *Sadhguru**, un mistico e yogi indiano.

All’età di 25 anni, il 23 settembre 1982 Jaggi Vasudev guidò fino a Chamundi Hill, dove sedette su una roccia sulla quale ebbe una esperienza spirituale: “Fino a quel momento della mia vita, ho sempre pensato: ‘questo sono io’ e che qualcun altro è qualcos’altro. Ma per la prima volta non sapevo più cosa fosse ‘me’ e cosa non lo fosse. Ad un tratto, ciò che io ero era semplicemente ovunque. La stessa roccia su cui ero seduto, l’aria che respiravo, la stessa atmosfera intorno a me: ero appena esploso in ogni cosa. Il che suona come un’assoluta follia. Pensai che questa esperienza fosse durata dai dieci ai quindici minuti, ma, dopo essere tornato alla mia normale consapevolezza, ero stato seduto lì per quattro ore e mezza, pienamente cosciente, con occhi aperti, ma il tempo era semplicemente capovolto”. Sei settimane dopo questa esperienza, lasciò la sua attività ad un suo amico e viaggiò a lungo nel tentativo di comprendere la sua esperienza mistica. Dopo un anno di meditazione e viaggi, Jaggi Vasudev decidette di insegnare yoga per condividere le sue esperienze interiori.

Le parole di Sadhguru riprendono molto anche quello che dice James Clear nel suo ultimo libro Atomic Habits: “quello che conta non è l’obiettivo, quanto il sistema, il processo.” Il processo aiuta ad essere continuativi, porta lo slancio che serve.

Ho imparato che istituendo un processo mi sento più in grado di difendere le mie convinzioni. Ancora sono lontano dal battermi con successo, ma intanto ho compiuto i primi passi.

Tutto questo è secondo me è anche reso più facile, operativamente, dal nuovo workflow che sto utilizzando su Agenda: ogni nota è associata ad un evento sul calendario, e in questo modo alla fine della giornata mi è possibile revisionare gli appunti in maniera estremamente più veloce. Forse ho trovato un modo per mantenere le mie idee salde a terra invece di farle volare via. Avevo provato con i task (Things 3), con le note sparse (OneNote), con le note organizzate (Evernote), con l’app Note di macOS, ma niente andava bene. Forse Agenda è la soluzione.

E anche tenere un diario, con DayOne, tutte le sere mi aiuta a sfogare le idee, e ad andare a letto scarico e quindi rilassato, vuoto. Avere tante idee è una bella cosa, ma se si hanno troppe idee e non si riesce a catalizzarle, metterle in pratica, la delusione è davvero tanta.

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Giacomo Barbieri

Giacomo Barbieri

Millennial blogger, community manager

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